«Abbiamo regole da Asl, bisogna ringiovanire l’azienda»

CORRIERE DELLA SERA - Aldo Cazzullo

L’11 giugno è previsto lo sciopero dei dipendenti Rai contro il taglio di 150 milioni voluto dal governo. Lei, direttore Gubitosi, cosa ne pensa? 
«Questo sciopero è un errore. La Rai fa parte del sistema. Ci è stato chiesto un sacrificio, e noi lo faremo. La Rai deve lavorare ancora di più per essere promotrice del cambiamento che il Paese chiede e di cui può e deve essere parte. Io poi vengo dal privato; sono abbastanza alieno dal concetto di sciopero per una richiesta dell’azionista».


L’Usigrai, il sindacato interno, teme che il decreto del governo sia per lei un «lasciapassare per ridimensionare il personale».
«Non credo di aver bisogno di un lasciapassare. Stiamo lavorando alla revisione del piano industriale che ha già ridotto il personale: dal 2013 sono uscite 700 persone. La Rai va ringiovanita. Abbiamo una popolazione anziana; fa parte del piano e della natura delle cose ridurre una parte della popolazione più anziana e assumere, anche se in numero minore, dei giovani».


Dove li trova 150 milioni? Con la vendita di Rai Way, la società che controlla le torri di trasmissione?
«Mentre in molti obiettano, la quotazione di Rai Way è già operativa. Abbiamo selezionato un gruppo di banche, di advisor. Chiudere entro l’anno è un programma ambizioso ma raggiungibile».


Il timore è che sia una svendita.
«Si parla di svendita senza sapere il prezzo. A differenza di quanto ipotizzato in passato, stiamo parlando del collocamento di una quota di minoranza. Rai Way è un piccolo gioiello, tanto che da più di dieci anni qualcuno tenta di comprarla. Alcuni di quelli che si dichiarano contro, tre anni fa erano per vendere».


A chi si riferisce?
«La precedente consiliatura approvò un piano industriale che prevedeva, con modalità diverse, la vendita di Rai Way. Ora si oppongono gli stessi che avevano approvato quel piano. A volte prevalgono considerazioni politiche; da tecnico è una cosa a cui non riesco ad adeguarmi. Oltretutto Rai Way resterà nel pubblico. Le consentiremo di avere il suo core business staccato dal resto del gruppo, ma la direzione, il coordinamento e il controllo rimangono alla Rai».

Quanto conta di incassare?
«Non lo posso dire, per due motivi. Mancano alcuni mesi alla quotazione, i mercati finanziari sono volatili, e io sono scaramantico. E non intendo certo commettere aggiotaggio diffondendo notizie sensibili».


Prevede tagli alle sedi regionali?
«Preferisco parlare non di tagli ma di ottimizzazione, di crescita. In questi due anni i costi di esercizio della Rai sono scesi di quasi cento milioni l’anno. Abbiamo riportato la Rai in attivo nonostante il continuo calo della pubblicità e il mancato adeguamento del canone. Eppure non sono stati anni di soli tagli, ma di investimenti e di redistribuzione delle risorse dalle aree meno produttive a quelle strategiche. Abbiamo ridotto i costi esterni, tagliato cose storiche, creando anche frizioni con alcuni personaggi interni; e abbiamo investito in tecnologia. La digitalizzazione della Rai era il titolo di un libro ancora da scrivere, ora è un fatto: il Tg2 è partito oltre un anno fa, il Tg3 è partito il giorno delle elezioni, il Tg1 parte il 9 giugno. E quando hai tutti i giornalisti che lavorano in digitale puoi rivedere in meglio l’organizzazione del lavoro, figlia ancora dell’accordo del 1975».


Parlavamo delle sedi Rai. I giornali riferiscono di lussi e di sprechi.
«Sono dati tratti dal nostro piano industriale, che già affrontava la questione delle sedi. Alcune sono nate in un altro periodo storico, e sono molto più grandi del necessario: a Genova negli anni 60 lavoravano oltre 300 persone, oggi meno di cento. Stiamo rivedendo il modo in cui operano».


Chiuderanno?
«Parlerò delle sedi regionali in consiglio, poi con l’azionista. Noi vogliamo rafforzare la nostra presenza sul territorio, guadagnando però efficienza».


È possibile tagliare lo stipendio dei conduttori?
«Non solo è possibile; i tagli stanno avvenendo».


A spese di chi?
«I rapporti con i singoli sono coperti da un giusto riserbo. Quando un contratto scade rinegoziamo in basso, se ci riusciamo; per l’interesse dell’azienda, non con un obiettivo ideologico. Se qualcuno porta valore ne prendiamo atto, sempre tenendo conto del momento storico in cui operiamo. Spero lo facciano anche i concorrenti: non vorrei che approfittassero della nostra situazione per portarci via programmi importanti. Noi calmieriamo il mercato; ma dobbiamo sempre ricordarci che c’è un mercato».


È vero che con Renzi non vi siete mai incontrati?
«È vero. In passato ho chiesto di vederlo per presentargli il piano in corso. Ne ho poi parlato con altri esponenti del governo».


Non le pare una cosa strana che il direttore generale della Rai non parli con il capo del governo?
«Quando lo riterrà opportuno ci incontreremo e gli presenterò la situazione».


Renzi insiste sul ruolo educativo e culturale del servizio pubblico.
«Sono assolutamente d’accordo. È parte della missione della Rai. Con il suo predecessore avevamo discusso il da farsi sul semestre europeo e sull’Expo: la Rai si è impegnata al riguardo proprio su input di Palazzo Chigi. Noi stiamo andando avanti mettendo molte risorse, e questo vale per tantissime aree. Stiamo spingendo sulla cultura, sulla storia, ad esempio sulla Grande Guerra: l’Italia è il Paese in cui oggi centinaia di migliaia di persone vedono ogni giorno un programma di storia. Abbiamo tolto il trash. Vorremmo fare un’azione contro l’evasione del canone, per un fatto di giustizia verso chi lo paga. Le risorse recuperate potrebbero andare non alla Rai ma a ridurre ulteriormente l’evasione. Il canone si potrebbe abbassare se tutti lo pagassero. Sarebbe il primo segnale: se tutti pagano le tasse, le tasse si possono ridurre. Sono tutte idee di cui discuteremo con l’azionista».


Si parla di un ricorso del consiglio d’amministrazione contro i tagli. Lei che ne pensa?
«Non entro nelle prerogative del cda. Su questo si esprimerà la presidente. Dal mio punto di vista, non mi interessa impiegare tempo per discutere il ricorso; mi interessa lavorare per trovare 150 milioni. Il consiglio deciderà cosa fare».


Francesco Merlo la accusa di aver promosso a «macrodirettore» Luigi De Siervo per compiacere Renzi.
«Non ho capito a quale promozione si riferisse. De Siervo era direttore commerciale quando sono entrato ed è direttore commerciale oggi. Rai Trade, la direzione commerciale, sarà esternalizzata, come previsto dal piano industriale già da due anni: De Siervo continua a fare lo stesso mestiere, anziché all’interno dell’azienda, in una società separata. Vedere un aspetto politico anche in questo fa pensare che il dibattito ogni tanto porti a storture mentali. Noi abbiamo fatto un’opera importante di moralizzazione, ringiovanito le direzioni, innescato un meccanismo virtuoso. Ora serve un ulteriore colpo di reni. Era già previsto che fosse così; a maggior ragione ci daremo da fare. Per molto tempo la Rai è stata gestita con criteri politici e non manageriali. Non a caso abbiamo incontrato resistenze fortissime...».


A cosa si riferisce?
«A volte non abbiamo avuto la maggioranza in consiglio, e abbiamo dovuto fare scelte di compromesso. La Rai ha lacci e lacciuoli che i concorrenti non hanno. La burocrazia impone un costo altissimo: per fare una gara dobbiamo sottoporci a una serie estenuante di passaggi. Abbiamo regole che ci equiparano a una Asl anziché a un’azienda; per questo serve che l’azionista ci dia una mano».


Il concorso per assumere giovani si farà?
«Il concorso farà parte del piano. Dobbiamo portare dentro i nativi digitali. I giovani sono il futuro dell’azienda; senza di loro la Rai muore. E noi vogliamo che i primi sessant’anni della Rai siano solo il prodromo di altri sessanta. Ma è tardi aspettare il 2016 per discutere: avere maggiori certezze favorirà il rilancio».

 

Aldo Cazzullo