Missione impossibile?

PRIMA COMUNICAZIONE - Alessandra Ravetta

Alla Rai dodici cantieri lavorano per ricostruire e modernizzare l’azienda, mentre cresce il nervosismo tra i politici per essere stati esclusi dai giochi di potere a viale Mazzini e l’AGCOM, in nome del rispetto degli equilibri politici, interviene pesantemente sulle scelte giornalistiche e editoriali delle trasmissioni ‘In ½ H’ e ‘Che Tempo Che Fa’, obbligandole a risarcire nei prossimi sei mesi gli spazi non dati al PdL nella scorsa stagione televisiva.

Se c’è una decisione di cui essere sinceramente grati a Roberto Fico, dal 6 giugno presidente della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, è quella di diffondere in streaming le audizioni della suddetta commissione. E non tanto per quello che viene a sapere su oscuri segreti o eventuali nefandezze dei dirigenti della Rai convocati, ma per poter apprezzare in diretta, senza filtri né interpretazioni, lo stile e la competenza dei commissari, deputati e senatori, a cui è affidato il controllo del servizio pubblico.

Si va dall’aggressività petulante di Renato Brunetta, che istruisce i suoi interrogatori su una ricca documentazione di disposizioni, articoli di legge et similia, alla sfrontatezza di Augusto Minzolini, ex direttore del Tg1 e ora – per uno dei tanti miracoli berlusconiani – senatore della Repubblica. Fino agli agitatori del nulla, come è il caso rappresentate del Pd Michele Anzaldi, che insieme ai suoi colleghi di partito, Federico Gelli, Luigi Bobba (tutt’e tre renziani) e Gero Grassi, ha dato fiato alle trombe dello scandalo sul caso della trasmissione di Raiuno “The Mission”, storia che peraltro non si è ancora conclusa, come raccontiamo dettagliatamente nelle pagine seguenti. Coloro che però ci lasciano più inquieti sono quelli palesemente informati e che intervengono partendo da notizie o non vere o del tutto risibili senza rendersi conto della pietosa figura che fanno. Come è successo, tanto per fare un esempio, durante l’audizione di Tinni Andreatta, direttore di Rai Fiction, in cui un commissario (Alberto Airola del M5S) ha preso a immaginare intrecci impropri tra i dirigenti Rai e società di produzione fiction, facendosi scappare la balla che Carlo Degli Espositi, il produttore della Palomar e il padre di ‘Montalbano’, sarebbe un ex dipendente di viale Mazzini.

Dall’altra parte del tavolo i dirigenti Rai messi sotto torchio esibiscono uno stile britannico, disponibili senza soggezioni a dare tutte le informazioni che non siano dati sensibili, che non abbiano controindicazioni per la concorrenza o possano creare problemi legati alla privacy, come ad esempio contratti e compensi chiesti da Brunetta e dal senatore Maurizio Rossi di Scelta civica, editore della televisione regionale ligure Primocanale che, per evitare il conflitto d’interessi, dichiara di aver stipulato una procura senza vincolo di conservazione preventiva della tivù privata. L’Usigrai ha avanzato il sospetto un po’ ridicoli che Rossi voglia ridiscutere nel 2016 la condizione che assegna alla Rai il servizio pubblico (e ben 50 miliardi di euro di canone distribuiti su vent’anni) a tutto delle emittenti private. Per non parlare della Vigilanza di visionare prima della messa in onda ‘The Mission’, richiesta dichiarata esplicitamente dai vertici della Rai come irricevibile.

“Niente di nuovo sotto il sole”, commenta scrollando la testa Carlo Rognoni, esperto della vita parlamentare, essendo stato senatore dal 1992 al 2001 e deputato dal 2002 al 2005 (quando si dimise per diventare consigliere di amministrazione a Viale Mazzini), e ora presidente del Forum del Pd per la riforma del sistema radiotelevisivo. “Tra la Vigilanza e la Rai c’è sempre stato un rapporto di forte dialettica per non dire di manifesta antipatia. Il problema adesso è che ci si muove in un contesto politico così confuso e rissoso che non permette di elaborare strategie o linee da condividere su un tema importante non solo per la Rai, ma per l’intero assetto mediatico del Paese, com’è il rinnovo della convenzione per il servizio pubblico con lo Stato che scade appunto nel 2016”.

Quello che invece è molto nuovo e preoccupante – e non solo per Viale Mazzini ma per tutti coloro che credono nella libertà di informazione – è il comportamento dell’Agcom, che il 25 luglio ha lanciato due siluri guidati dall’esposto dell’onorevole Brunetta che lamentava la violazione del pluralismo e della par condicio per rimettere in riga la politica informativa delle due trasmissioni di Raitre ‘Che tempo che fa’ e ‘In ½ H’. L’Agcom le ha giudicate colpevoli di “squilibri” nel dare spazio alle diverse forze politiche privilegiando il Pd a scapito del Pdl. “Squilibri” che configurano, come recitano le delibere 476 e 477, “un’alterazione del principio della parità di trattamento tra forze politiche omologhe in contrasto con il consolidato indirizzo interpretativo dell’Autorità in materia, nonché, più in generale, con i principi di completezza e correttezza dell’informazione, obiettività, equità, lealtà, imparzialità, pluralità dei punti di vista ed equilibrio delle presenze durante il ciclo delle trasmissioni, disposti dalle richiamate previsioni normative e regolamentari applicabili ai programmi di informazione nei periodi non elettorali”. E fin qui passi. Ma è a dir poco stupefacente l’ordine che l’Agcom trasmette alla Rai “affinché assicuri nel ciclo del programma ‘In ½ H’ (e lo stesso lessico vale anche per ‘Che Tempo Che Fa’: ndr), a far tempo dalla ripresa del programma dopo la pausa estiva ed entro il termine di sei mesi, il riequilibrio delle presenze in favore del soggetto politico esponente (PdL) assicurando la parità di trattamento tra soggetti politici omologhi”. Traduzione: per i prossimi sei mesi la trasmissione di Lucia Annunziata e quella di Fabio Fazio saranno piene di comparsate di pidiellini, che ci siano o meno ragioni giornalistiche o di cronaca per giustificare le interviste, alla faccia del servizio pubblico che dovrebbe soddisfare i gusti e i bisogni informativi degli spettatori (a Raitre prevalentemente di centrosinistra) e non la smania del politico di turno di apparire. L’ordine dell’Agcom crea anche una pericolosa distorsione per il marketing editoriale della Rai che lavora per tipologie di spettatori, con riflessi anche sulle strategie commerciali della commissionaria di pubblicità che vende spazi e programmi misurandoli sul target.

Le delibere, che pubblichiamo nei Documenti di Peimaoline.it, forse per il periodo estivo in cui sono state emanate o perché i politici del centrosinistra del M5S erano troppo occupati a occuparsi dei campi profughi e di ‘The Mission’, sono passate quasi inosservate. Non un fiato! Vedremo invece le reazioni quando gli spazi nella trasmissione di Lucia Annunziata o in quella di Fazio saranno occupati dai cari colleghi del PdL. A dare il via alle danze del nuovo corso è stata Lucia Annunziata, che nella prima puntata della nuova serie di ‘In ½ H’ di domenica 15 settembre ha ospitato Renato Schifani, capogruppo del PdL in Senato, e nella seconda Renato Brunetta.

Intanto le dimissioni di Maurizio Decina da commissario dell’Agcom fanno capire quanto siano forti le tensioni all’interno dell’Autorità, e non certamente per la Rai. In cerca di un nuovo candidato, il Pd propende per un esperto del mondo dei media e della televisione oltre che dei grandi temi delle telecomunicazioni.

Che le cose non si stiano mettendo bene sul fronte politico istituzionale se ne sono resi conto il presidente della Rai Anna Maria Tarantola e, soprattutto, il direttore generale Luigi Gubitosi, che dopo un anno di gestione in grande autonomia avverte in modo sempre più precisato la tossicità dell’ambiente in cui si trova a muoversi. La questione, al di là degli spazi nelle trasmissioni su cui si esercitano i bilancini di Brunetta e dell’Agcom, riguarda il sistema degli interessi politici, sempre più insofferenti rispetto all’austera ex direttora della Banca d’Italia e al manager calvinista che passa la maggior parte del suo tempo a Viale Mazzini e che ha tagliato, creando un esercito di scontenti, prebende e collaborazioni, comparsate in video e raccomandazioni. Lo stesso temerario che ha osato buttare fuori dalla Rai Giovanni Minoli chiudendo il suo contratto da superpensionato. Che il direttore generale senta odore di pericolo lo si capisce da come è esplosa la sua voglia di comunicare. Fino a prima dell’estate erano rarissime le dichiarazioni e le interviste, gestite con il contagocce da Costanza Esclapon, capo della comunicazione e relazione esterne che Gubitosi ha assunto appena arrivato alla Rai. Nelle ultime due settimane il direttore generale della Rai è apparso su Repubblica Tv, alla festa del Fatto Quotidiano alla Marsiliana, sul Sole 24 Ore e di nuovo su Repubblica.

Ma sicuramente l’operazione più innovativa in termini di comunicazione è stata la convention aziendale organizzata il 16 settembre negli studi della Dear di Roma dove sono stati invitati più di 600 dirigenti (manager e giornalisti, fino al ruolo di caporedattori) a fare il punto sui cosiddetti ‘cantieri di lavoro’, dodici aree di intervento: pubblicità, ricavi commerciali, ottimizzazione palinsesto, sviluppo all news, rilancio radio, sviluppo web, modello di assetto produttivo, digitalizzazione, revisione processi, risorse umane, assetto immobiliare, efficacia ed efficienza acquisti, cioè i pilastri su cui si regge e sviluppa l’azienda. Dopo un’introduzione dei vertici Rai, a partire dalla presidente Tarantola, si sono succeduti i responsabili di ogni area per raccontare la situazione in atto e i progetti in divenire. Ogni intervento era preceduto da uno spezzone di film con il sonoro adattato all’argomento e ai temi della presentazione, con il giornalista Gerardo Greco di ‘Agorà’ a fare da conduttore. A un certo punto è stato detto che chi voleva poteva commentare o chiedere spiegazioni via mail (una passione di Gubitosi, che fin dal suo debutto in Viale Mazzini ha inaugurato questo canale di comunicazione con il popolo Rai), e ne sono arrivate a decine.

Anche noi di Prima abbiamo deciso di cogliere la disponibilità di Gubitosi a parlare. Nell’intervista che segue il direttore generale racconta la sua filosofia gestionale, che è soprattutto un atto di fede nel ruolo della Rai come servizio pubblico. Ne esce la figura di un manager convinto della sua missione di civil servant, molto determinato e con quel tanto di cinismo necessario per fare i conti con un’azienda carrozzone di 12mila dipendenti e con tutto ciò che gira intorno.

Prima comunicazione – Un autentico bagno di folla allo studio Dear con schierata al completo la dirigenza della Rai, più di seicento persone, e lei e la presidente Anna Maria Tarantola ad aprire l’evento.

Luigi Gubitosi – Abbiamo voluto condividere con manager e giornalisti quello che si sta facendo attraverso i dodici cantieri per mettere in pratica il nuovo Piano industriale della Rai (che ha come obiettivo il pareggio per il 2014 e il ritorno all’utile per il 2015: ndr) perché per modernizzare una corazzata come la Rai c’è bisogno della partecipazione di tutti con la consapevolezza che non abbiamo tempo da perdere e tutti devono essere della partita.

Prima – Perché tanta fretta? I conti del primo semestre vanno meglio se confrontati con quelli dello stesso periodo del 2012: 3,2 milioni di perdita rispetto ai 129 dell’anno scorso. E ancora meglio sono i dati per il secondo trimestre. Cos’è che le preme?

L. Gubitosi – Non nego la soddisfazione nel vedere che gli sforzi fatti portano risultati anche sul fronte degli ascolti e dei prodotti. Ma l’obiettivo su cui tutti dobbiamo essere concentrati è il maggio 2016, la data di rinnovo della Convenzione dello Stato per la gestione del sevizio pubblico, con una Rai risanata e ridisegnata secondo i criteri di una moderna e diversificata media company. Una Rai capace di essere protagonista della rivoluzione culturale e tecnologica in atto. Un lavoro che, come lei comprende, è enorme.

Prima – Tutto il mondo dei produttori di contenuti sta cercando di riposizionarsi per sopravvivere ai grandi cambiamenti generati dal digitale.

L. Gubitosi – Certo, ma la Rai come servizio pubblico dovrebbe essere centrale in questo cambiamento. È necessario definire lo scenario d’insieme, arrivare a formulare idee e poi un disegno preciso e, come ho già detto e ripetuto, discutere nel modo più aperto possibile su questo processo di trasformazione, coinvolgendo istituzioni, politica e cittadini. Un primo grande incontro lo stiamo organizzando per l’inizio di dicembre.

Prima – Anche il vice ministro alle Comunicazioni, Antonio Catricalà, e il presidente dell’Upa, Lorenzo Sassoli de Bianchi, hanno in mente una discussione pubblica sul servizio pubblico.

L. Gubitosi – Bene, e entrambi sono invitati al nostro incontro di dicembre. Le dico le mia: non penso a un confronto tra addetti ai lavori, ma all’avvio di una discussione a cui tutto il Paese dovrebbe partecipare. Il tema è: la Rai è di tutti? Deve servire un po’ tutti? Che cosa vogliamo che faccia?

Prima – Lei pensa in grande e mi sembra di capire che dia per scontato che sarà ancora la Rai e sempre la Rai ad avere il mandato per il servizio pubblico. Si parla di possibili gare anche con privati. Cosa ne pensa?

L. Gubitosi – Non voglio entrare in un gioco fantasy. La cosa di cui sono sicuro è che nel 2016 la Rai ci sarà e dovrà essere pronta per assumersi un nuovo importante compito. In una società dove la comunicazione è sempre più centrale, il servizio pubblico deve essere organizzato su solidi programmi e altrettanto saldi principi per essere tenuto fuori dalle buriane dell’economia e della politica. In quella data sicuramente non sarò più in Rai – il mio mandato scade fra un anno e dieci mesi – ma il tema mi riguarda soprattutto come cittadino. E fin tanto che ci sono voglio lavorare per creare i presupposti organizzativi e culturali di questa nuova Rai che la convenzione vorrà definire.

Prima – Intanto un passo in avanti nel rapporto con le istituzioni è stato fatto con il via libera del Cda al nuovo contratto di servizio 2013-2015, che lei ha firmato con Catricalà. Un contratto impegnativo in cui avete accettato di rinunciare alla pubblicità sul canale per bambini YoYo e nei programmi delle rete generaliste rivolti ai più piccini, oltre alla novità che prevede la riconoscibilità dei programmi finanziati dal canone con il famoso bollino.

L. Gubitosi – Da un punto di vista organizzativo le confesso che il bollino è un incubo, ma condivido il principio di rendere noto come la Rai spende i soldi del canone. Il modo più giusto sarebbe di evidenziare quanto si investe sulla produzione, sulla fiction, sul cinema, sui programmi di qualità, sui programmi culturali e di educational… E non sui singoli programmi. Ma se il bollino è la regola, ebbene sia chiaro: noi lo applicheremo.

Prima – E poi, in nome della trasparenza, dovrete pubblicare sul sito web della Rai i compensi dei dirigenti, aggregati per fasce di reddito. L’opinione pubblica, e di riflesso i politici, hanno una vera ossessione nei confronti dei compensi e dei costi Rai. Una guerra moralizzatrice contro marchette e inciuci?

L. Gubitosi – Oggi in Rai c’è un grande rigore nella gestione delle remunerazioni, delle collaborazioni e delle spese. Penso che la credibilità e la capacità a operare di un gruppo dirigente passino innanzitutto dalle regole etiche che si dà. Tutto il lavoro che abbiamo fatto e stiamo facendo sulla definizione di una nuova organizzazione del lavoro e sugli organici punta al risparmio, ma anche a rendere trasparenti i processi e dunque le prestazioni di dipendenti e collaboratori. Alla Rai vorremmo che trionfasse il merito e non le raccomandazioni. Non è facile, ma ci stiamo provando. Per quanto riguarda la pubblicità dei compensi ho già fornito alla Vigilanza informazioni sugli stipendi dei manager e dei giornalisti divisi per fasce. Dati pubblicati poi dalla stampa. Però, sia chiaro, non darò mai le cifre accompagnate dai nomi dei dipendenti.

Prima – Adesso c’è anche il decreto che pone un tetto di 294mila euro per i compensi degli amministratori delegati di Rai, Anas e Ferrovie…

L. Gubitosi – Per quanto riguarda il mio stipendio – 650mila euro, su cui si sono scatenate polemiche al momento della mia assunzione – non credo che questa norma possa funzionare in modo retroattivo. Staremo a vedere. Rispetto agli stipendi degli altri manager è dall’agosto 2012 che applichiamo il decreto del governo Monti per cui i compensi dei dipendenti pubblici, equiparati al trattamento economico del primo presidente della corte di Cassazione, non possono superare i 300mila euro.

Prima – Pochini se si confrontano con gli stipendi dei manager dei grandi gruppi privati.

L. Gubitosi – Me ne sono reso conto a settembre dell’anno scorso quando ho dato mandato a un cacciatore di teste per trovare il nuovo direttore generale di Sipra, e ho scoperto che i manager della pubblicità guadagnano almeno due volte quello che potevamo offrire. Siamo stati davvero molto fortunati a trovare una persona brava e competente come Fabrizio Piscopo, che ha avuto voglia di fare un po’ di missione nel servizio pubblico rinunciando a una parte dei propri guadagni. Stesso tema si è posto per le poche persone di vertice che ho chiamato per venire in Rai e che hanno accettato decurtando i propri stipendi.

Prima – Facciamo qualche nome: Esclapon, Rossotto, Picardi, Cariola e Pellegrino, che hanno lasciato società e ruoli di rilievo per venire in un’azienda che mal sopporta gli esterni, e per di più guadagnando di meno. Cosa li ha convinti?

L. Gubitosi – Con alcuni di loro abbiamo avuto delle esperienze di lavoro che hanno cementato i nostri rapporti. Rossotto (che ha lasciato l’incarico di treasurer e responsabile dei Financial services di Fiat Insustrial; ndr) quando era ancora un ragazzo lavorava al mio fianco in Fiat negli Stati Uniti. Con Costanza Esclapon abbiamo collaborato per anni a Wind, e anche con Picardi. Gli ho proposto di venire a condividere questa esperienza a Viale Mazzini e hanno accettato. Credo che sia comunque gratificante fare qualcosa per il proprio Paese, avere la sensazione che se riusciamo a mettere a posto la Rai facciamo qualcosa di utile per gli italiani. Questo è lo spirito del servizio pubblico.

Prima – Se non avessimo conoscenti comuni che mi testimoniano il suo spirito calvinista farei fatica a crederle. In ogni caso entriamo nel merito di cosa state facendo con i vostri cantieri per costruire questa nuova Rai campionessa del servizio pubblico.

L. Gubitosi – Mi lasci prima chiarire che già adesso noi consideriamo tutto quello che fa la Rai come servizio pubblico. Sanremo è servizio pubblico, ‘Montalbano’ è servizio pubblico, Benigni è servizio pubblico. E anche ‘Ballando con le stelle’ o ‘L’eredità’ sono servizio pubblico. E naturalmente l’informazione, lo sport, la fiction, i programmi per bambini. Servizio pubblico è andare incontro ai gusti e ai bisogni della platea degli italiani, proponendo il meglio. Per indicare la missione della Rai mi piacerebbe uno slogan come quello della Bbc: ‘Educare, informare, intrattenere’.

Prima – Tre parole che indicano la centralità della Bbc nel sistema inglese. La Rai deve vedersela invece con la sua storia di pesanti condizionamenti politici e con un’opinione pubblica antipatizzante che mal digerisce di dover pagare il canone. Ci sarà molto da fare per arrivare al 2016 con una nuova immagine e un forte consenso popolare.

L. Gubitosi – Il problema della Rai, trascurato per anni, è che un’azienda ‘iperstaffata’, costretta a fare da camera di compensazione per le crisi occupazionali dei giornali di partito e non, impossibilitata a darsi un’organizzazione del lavoro da azienda normale, limitata nelle politiche commerciali come ai tempi della vecchia Sipra, con poche risorse da investire sull’innovazione tecnologica. Quando sono arrivato a Viale Mazzini mi sono subito reso conto che la situazione era molto più grave delle cifre di previsione di pareggio che giravano, e che la perdite dell’anno sarebbe stata di almeno 200 milioni. Abbiamo tagliato, riorganizzato, stipulato accordi sindacali. Entro l’anno dovremmo chiudere il rinnovo del contratto dei lavoratori dello spettacolo scaduto da tre anni. E c’è ancora molto lavoro da fare.

Prima – Con i sindacati, sia dello spettacolo sia dei normalisti, lei ha stabilito una intesa speciale, giocando anche la carta di riportare il maggior numero di produzioni all’interno dell’azienda. Una sorta di patto per blindare chi sta dentro la Rai.

L. Gubitosi – Stiamo lavorando per capire quali sono i veri dipendenti Rai e quali sono invece i collaboratori con contratti diversi – contratti a termine e collaboratori a partita Iva tanto per dirne due – un mondo su cui fare ordine non solo per dirimere motivi di conflittualità o possibili cause di lavoro, ma per motivare le persone, dare un senso a ciò che fanno. Pensi che abbiamo trentanove figure professionali, ovvio che alcune debbano essere smantellate. Inoltre in Rai non si assumeva più per motivi di merito perché le assunzioni servivano, secondo un accordo del 2008, a stabilizzare i precari cresciuti senza controllo. Una scelta giustificata ma penalizzante per una strategia di sviluppo delle risorse umane. Un’azienda che produce cultura e contenuti ha bisogno di giovani preparati e di talento.

Prima – Insomma, lei ha deciso di privilegiare il popolo Rai e di ridurre le collaborazioni con i grandi produttori di intrattenimento, Endemol, Magnolia, Fremantle Media, Toro, per dire i più importanti. Che rischiano la crisi.

L. Gubitosi – Ci sono due maniere estreme di fare tivù: una tutta integrata e una tutta in outsourcing. La Rai aveva tutte le strutture per fare tutto e produceva moltissimo in outsourcing. Noi non vogliamo penalizzare i produttori e continueremo a utilizzare le loro strutture. La governance deve però essere interna, così come se abbiamo professionalità adeguate in casa è logico utilizzarle. Attualmente il 40% del lavoro di montaggio è realizzato all’esterno. Mi sembra comprensibile che prima di licenziare, pensionare o destinare ad altri incarichi i montatori Rai cerchiamo di ridurre il lavoro dato in outsourcing. Lo stesso vale per i registi, molti dei quali sono ex dipendenti Rai che hanno scelto di diventare collaboratori per guadagnare di più.

Prima – La Rai come servizio pubblico non dovrebbe anche sostenere le industry del settore?

L. Gubitosi – Mi sembra che si chiedano un po’ troppe cose alla Rai. Se mi dice come tagliare qualche migliaio di dipendenti posso anche preoccuparmi della industry. Ma battute a parte, il ruolo della Rai è fondamentale nel mondo dell’audiovisivo. Se non ci fosse stata Rai Cinema non si sarebbe prodotto ‘Sacro Gra’, il film che ha vinto il Leone d’oro a Venezia. E il settore della fiction sarebbe ben poca cosa senza di noi. Peraltro siamo molto soddisfatti del lavoro che sta facendo il direttore di Rai Fiction, Tinni Andreatta. La produzione di fiction è aumentata del 20% – un riduzione del budget – puntando su una linea editoriale e produttiva di qualità sempre fortemente di servizio pubblico. Come ha raccontato Andreatta all’audizione in commissione di Vigilanza, tra i migliori 50 ascolti di fiction 48 sono della Rai e due di Mediaset. E poi se vogliamo parlare degli aspetti relativi all’occupazione del settore, la Rai ha impegnato i produttori a lavorare in Italia chiedendo però ai rappresentanti delle varie categorie di abbassare le pretese economiche.

Prima – Entrando nel merito dei cantieri aperti, mi pare di capire che state dedicando un notevole impegno al processo di digitalizzazione dell’azienda.

L. Gubitosi – Appena abbiamo incominciato a conoscere l’azienda ci siamo resi conto che alla Rai si lavorava ancora con il sistema analogico. Una follia! E si è allora deciso che fosse prioritario varare un importante investimento per la digitalizzazione. Negli anni passati per problemi di bilancio si era deciso di investire poco sul fronte tecnologico. La metà di quanto occorresse per una replacement adeguato delle strutture tecnologiche dell’azienda. Il consiglio di amministrazione ha deciso che nel triennio 2013-2015 investiremo 163 milioni in tecnlogie.

Prima – La digitalizzazione è partita dai telegiornali, dal Tg2, e sta procedendo nelle altre testate. Non si vedono ancora grandi idee per quanto riguarda un nuovo approccio editoriale all’informazione.

L. Gubitosi – La digitalizzazione è il presupposto fondamentale da cui partire per innovare il modo di lavorare e di fare informazione. Il Tg1 e il Tg3 saranno digitalizzati all’inizio dell’anno prossimo. Se lei mi chiede che progetti ci sono per riorganizzare e rendere più efficiente ed economica la grande e costosa macchina informativa della Rai le rispondo che stiamo procedendo per gradi.

Prima – Persino il sindacato dei giornalisti Rai chiede innovazione e cambiamenti.

L. Gubitosi – E non saranno delusi quando apriremo i tavoli. Ma sono progetti che vanno affrontati con grande attenzione. Se mi chiedono se c’è l’idea di accorpare le redazioni dei tg per fare un’unica grande news room super efficiente le dico che non credo che sia possibile, proprio perché il ruolo di servizio pubblico obbliga a una differenziazione dei prodotti. Diverso è invece il tema della possibilità di condividere strutture e servizi. Una scelta già fatta ad esempio per le sedi di corrispondenza all’estero e che cerchiamo di far passare per l’utilizzo degli inviati: una troupe e un giornalista per tutte le testate. E poi c’è il lavoro che sta andando avanti per rafforzare Rai News24 che è l’unico telegiornale in Italia realmente aggiornato durante le 24 ore.

Prima – La Rai continua a essere debole sul web dove Mediaset invece ha molto investito con buoni risultati.

L. Gubitosi – In effetti è vero che il web era un punto di debolezza, ma alcuni aspetti sono stati decisamente migliorati e sono già visibili, per esempio la piattaforma per smartphone e iPad di Rai.tv è molto buona. Senza false modestie possiamo dire che forse è la migliore del mercato e l’ultima volta che ho chiesto i dati era a 2,8 milioni di download e puntava a 3 milioni. Stiamo studiando il nuovo portale per l’informazione Rai, che dovrebbe debuttare a novembre, al cui interno ci saranno i siti identitari delle diverse testate. Sarà realizzato da una redazione che lavorerà solo per il web, una redazione nativa digitale per la quale stiamo anche facendo qualche assunzione, e che rientra nelle attività di Rai News.

Prima – Grosse spese. Deve trovare i soldi per gli investimenti tecnologici visto che la situazione continua a essere difficile sul fronte economico finanziario?

L. Gubitosi – Sono convinto che una giusta ricetta per le aziende, come per gli Stati, prevede di non agire solo con i tagli. Se vuoi coinvolgere i cittadini o i tuoi dipendenti, se vuoi che ti seguano, devi proporre progetti di crescita, di sviluppo, di miglioramento. Per cui abbiamo deciso da una parte di investire sul futuro – e cioè le tecnologie, i nuovi progetti elettorali, il web, insomma da tutto quello che oggi serve per fare una grande media company – mentre ci siamo impegnati a tagliare i costi intervenendo su tutto, ma soprattutto sulla struttura con un piano che prevede 600 nuove uscite per pensionamenti entro il 2013 che ci porterà a regime un risparmio di 70-80 milioni all’anno sul costo del lavoro.

Prima – Un piano su cui molti prima erano piuttosto scettici.

L. Gubitosi – A oggi credo siano usciti in 559 e entro l’anno usciranno più di 600 persone, un alleggerimento che ha effetti benefici anche sulle carriere interne rimaste ferme praticamente dal 2008. Pensi la frustrazione di sapere di avere il futuro bloccato da chi c’è prima di te. Con grande soddisfazione abbiamo già fatto venticinque nuovi dirigenti.

Prima – A proposito di soldi, cosa ci dice dell’accordo con Google per l’utilizzo dei contenuti Rai su YouTube che si dice vogliate sospendere.

L. Gubitosi – Dal 2008 la Rai ha un contratto con Google che prevedeva la ripartizione dei ricavi pubblicitari dei nostri contenuti messi su YouTube. La nostra intenzione è di ridiscutere i termini di quell’accordo e ci siamo dati la fine di settembre come dead line. Se non troviamo una soluzione soddisfacente ci riterremo liberi da ogni impegno.

Prima – Lei considera dunque che abbia avuto ragione Mediaset a blindarsi nei confronti di Google, facendo causa per tutelare i propri contenuti?

L. Gubitosi – Tenderei a condividere la posizione di Mediaset non vedendo evidenti vantaggi per la rai dall’accordo con Google. Non è da sottovalutare anche il fatto che Google gode di un enorme vantaggio competitivo e che c’è anche il tema più generale del rapporto di Google con il nostro Paese, visto che non paga il grosso delle tasse sul fatturato fatto in Italia.

Prima – Una dichiarazione di guerra! Le cose vanno invece molto meglio con un altro grande operatore internazionale presente in Italia, Sky, con cui dopo il grande gelo all’epoca di Masi, quando è stato deciso di rompere il contratto e di criptare i canali Rai sulla piattaforma pay, fate ottimi accordi sui diritti sportivi. Una sentenza del Consiglio di Stato ha appena dato ragione a Sky che in questi anni ha fatto vari ricorsi contro gli oscuramenti dei programmi Rai sostenendo che, essendo il canone obbligatorio la Rai in quanto servizio pubblico, deve tenere un atteggiamento neutrale nei confronti delle diverse piattaforme. Cosa succederà adesso in pratica?

L. Gubitosi – Non vedo per la Rai il vantaggio di criptare i propri programmi e penso che sia giusto, come si è detto in varie sentenze, che non ci siano oneri addizionali per l’utente che ha pagato il canone. Detto questo vorrei essere sicuro che tutti gli abbonati Sky abbiano fatto il loro dovere pagando il canone. Noi siamo pronti a interrompere il criptaggio in qualunque momento, purché Sky ci dimostri o ci dia accesso ai suoi data base per verificare se tra i suoi abbonati ci sono evasori.

Prima – Mi sembra una richiesta a dir poco imbarazzante per Sky, che non avrà certamente voglia di fare il controllore fiscale nei confronti dei suoi clienti. Se una cosa del genere trapellasse sai le disdette o le denunce all’autorità della Privacy.

L. Gubitosi – Il pagamento del canone non se lo è inventato la Rai, è un obbligo di legge. Non si può chiedere a noi di fare servizio pubblico e quando ci sono impegni da prendere far finta di niente. Questo è un tema che non riguarda solo Sky, ma molti altri nostri referenti. Mi dispiace, ma il mio lavoro è difendere gli interessi della mia azienda.

Alessandra Ravetta