Rai, guai ad arrendersi alle soluzioni modeste
IL SECOLO XIX
Per il futuro della Rai, la data di venerdì 3 marzo potrebbe entrare nella storia. Finalmente dopo anni di tergiversazioni, rinvii, discussioni a vuoto, inutili coinvolgimenti di protagonisti del mondo radiotv, il consiglio dei ministri da il via alla nuova concessione/convenzione. Insomma là dove il governo Renzi e il sottosegretario Giacomelli hanno fallito e girato a vuoto, il governo Gentiloni, affidando la responsabilotà delle ultime mosse a Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico - da cui dipende anche il ministero delle Comunicazioni, e dunque la Rai - p riuscito a chiudere un capitolo strategico per tutto il mondo dei media.
Perl'azienda di viale Mazzini vuol dire passare dalla più sofferta e scandaloso attesa nel limbo del sistema mediatico, ad alcune certezzze. Si tratta insomma di un primo vero passo avanti verso la media company, la società che deve fare i conti con la rivoluzione Internet.
C'è solo un'ombra che oggi pesa su questo passaggio: l'idea che pur di concludere giustamente un iter tirato troppo a lungo, il ministro Calenda alla fine si sia comunque arreso alle difficoltà dettate dai tempi stretti in cui lui è ritrovato a lavorare, Con il risultato che le scelte più corraggiore, puiù incisive, per il domani del servizio pubblico potrebbbero finire per essere rimandate a un altro momento: per esempio all'approvazione - sempre in consigliod ei ministri - del nuovo contratto di servizio della Rai della dirata di cinuqe anni.
In questo caso dovremo aspettare altri mesi prima di capire se i nodi che ingabbiano la Rai verranno sciolti. E i parlamentari tutti che oggi sembrano più catturati da demagociche polemiche sugli alti compensi degli artisti, avrebbero così il tempo - per approfondire alcuni punti dirimenti.
Primo: la legge ha stabilito che il contratto di servizio non dura più tre anni ma cinque. Bene. Che cosa impedisce al governo di prevedere un canone su base quinquennale? Solo sapendo quali sono le risorse certe (anche dopo che si è recuperata l'evasione con la bolletta elettrica) si potrebbe pretendere una gestuine aziendale più efficiente.
Secondo: oggi vige in Rai un modello di separazione contabile, si calcola quali programmi meritano parti del canone e quali si reggono invece solo sulla pubblicità. Sarebbe molto più saggia una "separazione funzionale": da una parte una Divisione che produce contenuti finanziati dal canone dall'altra una Divisione che si regge sulle risorse commerciali, sulla pubblicità.
Finirebbe la vecchia e stantia polemica su una Rai che non è diversa dalle televisioni private. E in questo caso si potrebbe affronrare anche il tema degli affolamenti pubblicitari: men spot dove vige il canone, più spot altrove.
Terzo: predisporre offerte televisive e multimediali anche in altre lingue, a partire da quella inglese. Di pari passo con un maggiore impegno nel'innovazione, nella sperimentazione e nella promozione dell'industria creativa nazionale.
Quarto: non è forse anche il tempo di completare la separazione fra "una Rai fornitrice di contenuti" e "una Rai che distribuisce i contenuti"? Che senso ha che Raiway non cerchi accordi con Ei Towers e non si metta in campo un unico grande operatore di rete nazionale?
Quinto: l'informazione. Nei tg e nelle Reti. Perchè non recuperare almeno parte del Progetto Verdelli, confrontarlo con il Progetto Gubitosi, e dare qui il segnale più forte di cambiamento? Non è forse proprio l'informazione il cuore, l'anima, il centro del servizio pubblico?
Qualunque sia il contenuto della nuova converzione/concessione, il solo averla rinnovata è già qualcosa. E tuttavia guai ad accontentarsi di piccoli passi formali. Se il governo che è guidato da uno dei pochi politici che sa di che parla quando pensa alla Rai si arrende a soluzioni modeste, vorrebbe dire che anche lui, decide di lasciare che la Rai slitti nell'indifferenza, scivoli nell'emarginazione. Non volglio crederci. Conosco Paolo Gentiloni e so che ha le quaità per far rialzare e domare il cavallo di viale Mazzini.